Per la Consulta la sanzione deve essere proporzionata alla gravità delle singole condotte.

Come noto, la Corte Costituzionale con la sentenza n. 40 del 2023 ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 4 comma 1, primo periodo, del d.lgs. n. 297/2004, recante “Disposizioni sanzionatorie in applicazione del regolamento (CEE) n. 2081/92, relativo alla protezione delle indicazioni geografiche e delle denominazioni di origine dei prodotti agricoli e alimentari” nella parte in cui prevede la sanzione amministrativa unica di € 50.000,00 e ciò per la violazione dei principi di cui all’art. 3 della Carta, in combinato disposto con gli artt. 42 e 117, quest’ultimo in relazione all’art. 1 Prot. addiz. CEDU, che postulano, nell’ordinamento, il principio di di proporzionalità tra l’illecito e la sanzione.

Tale principio ricalca quello posto alla base della analoga decisione della Consulta, con la quale è stata dichiarata illegittima la norma (art. 7, comma 6, secondo periodo, del d.l. n. 158/2012 convertito nella legge n. 189/2012) che prevedeva una sanzione di 50.000,00 per l’inosservanza di taluni obblighi informativi sui rischi connessi al gioco d’azzardo.

La Corte Costituzionale ritiene, infatti, che l’art. 4 del d.lgs. 297/2004 presenti i medesimi profili di illegittimità della norma sopracitata, proprio perché “una sanzione fissa può superare il dubbio di legittimità costituzionale solo ove le infrazioni ad essa riconducibili siano tanto gravi da non renderla manifestamente sproporzionata”, ciò in quanto la fissità della sanzione non permette di tener conto della diversa portata e gravità delle singole violazioni.

Nel caso della norma sul DOP, poi, “l’entità della sanzione sarebbe di notevole rilievo, anche a volerla rapportare a capacità economica non modesta, e il ventaglio delle condotte sanzionate sarebbe vasto, punendo la previsione l’inadempimento alle prescrizioni o agli obblighi, impartiti dalle competenti autorità pubbliche, comprensivi delle disposizioni del piano di controllo e del relativo tariffario concernenti una denominazione protetta”.

Ma veniamo al merito della vicenda anche per poter cogliere la portata pratica della decisione in commento.

Il giudizio di legittimità trae origine dal procedimento di impugnazione della sanzione de qua ad opera di un istituto di controllo di un famoso marchio DOP del nord Italia che aveva subito l’applicazione di tre sanzioni amministrative in relazione ad altrettante violazioni della normativa sui controlli DOP.

In particolare veniva contestato all’ente di: 1) avere omesso di rilevare che un’azienda agricola aveva rettificato un’annotazione sulla certificazione unitaria di conformità, utilizzando modalità diverse da quelle prescritte dal “manuale 1”; 2) avere omesso di rilevare l’errore del produttore che mancava di riconoscere un alimento introdotto per la lavorazione, violando regole del “manuale 2”; 3) non avere debitamente sottoscritto per presa visione il registro di un produttore, contravvenendo, ancora, a una regola del “manuale 2”.

L’opposizione avverso le sanzioni veniva rigettate sia in primo che in secondo grado e, in particolare la il giudice di appello pronunciava la manifesta infondatezza della sollevata questione di legittimità costituzionale della norma applicata.

L’ente sanzionato ricorreva, pertanto, in cassazione, senza però insistere sulla questione di costituzionalità, che veniva però, promossa d’ufficio dai giudici di legittimità rimettendo la questione alla consulta, ritenendola pregiudiziale alla decisione della controversia.

Come detto, infatti, era chiara la percezione della corte di legittimità della antigiuridicità di una norma che mette sullo stesso piano violazioni relative ad inadempienze di diversa entità e gravità, palesando un evidente difetto di proporzionalità.

Antigiuridicità cui la Consulta riconosce di rango costituzionale ritenendo la norma in contrasto con i prefati principi della nostra Carta, ciò posto e sancito si poneva il problema di fornire un’alternativa che non ponesse nel nulla la portata della norma, privando di sanzioni comportamenti ritenuti lesivi dalla legislazione europea di settore (regolamento UE n. 1151/12) che: “richiede di controllare i produttori, vigilare sull’attività dei soggetti che certificano la qualità dei prodotti e di prevedere sanzioni nei confronti di tutti gli operatori del sistema”. (cfr. sent. cit.)

Esclusa dall’ordinamento la norma ritenuta anticostituzionale rimaneva quindi il problema di attuare le suddette norme sovranazionali; questione risolta attingendo al “sistema parallelo” previsto per le produzioni da agricoltura biologica (regolamento UE n. 848/2018).

La soluzione è stata infatti rinvenuta sostituendo la sanzione censurata con altra in linea con i principi costituzionali di proporzionalità, che sia modulabile in base all’entità e gravità delle violazioni commesse.

In tale ottica la Consulta statuisce, infatti, che: si deve, perciò, ritenere ragionevole che le violazioni più gravi siano punite con la sanzione pecuniaria di 50.000,00 euro nel rispetto della scelta legislativa originaria, dovendosi, al contempo, individuare la forbice edittale entro cui commisurare la sanzione.” (Cfr. sent. Corte Cost. cit.).

La norma di cui all’art. 8 comma 1 del d.lgs. n. 20 del 2018 adotta, infatti, un criterio secondo il quale le condotte rilevanti vengono prima indicate e poi ripartite sul piano sanzionatorio in ragione della loro decrescente gravità.

In conclusione, tale…”piena omogeneità finalistica consente di assumere la disposizione in questione come “punto di riferimento” per l’individuazione della soglia minima della sanzione da applicarsi alla struttura di controllo di produzioni DOP e IGP” (Cfr. sent. cit.).

In applicazione di siffatto principio, pertanto, nei casi regolamentati dalla disposizione dichiarata incostituzionale, sarà applicabile una sanzione amministrativa pecuniaria da un minimo di 10 mila euro ad un massimo di 50 mila euro.

Avv. Emanuele Del Duca

Cultore delle materia diritto commerciale Università della Calabria Commissione legislativa nazionale Acli Terra